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La delicata “Mission” del fotografo di food

Non esiste “il modo migliore” per fotografare il cibo. Esiste la ricerca del modo più giusto per realizzare un servizio fotografico di food, ed essa deve passare invariabilmente attraverso le seguenti esigenze:

  • Rappresentare il cibo in modo tale da renderne visibili al meglio le caratteristiche fisiche.
  • Esaltare il lato estetico del cibo, affinché susciti in chi guarda la foto non solo ammirazione ma anche voglia di gustarlo.
  • Far trasparire dalle foto il reale stile e vera l’atmosfera del locale (ristorante, hotel, bar, pasticceria, enoteca…).
  • Evitare di creare nelle foto troppo valore economico in un cibo servito in un locale semplice, o al contrario troppo poco in un altro servito in un locale di lusso.
  • Fotografare il cibo negli stessi piatti che sono normalmente utilizzati nel locale quando esso viene servito in tavola.
  • Sfruttare al meglio le proprie capacità fotografiche, purché esse non contrastino con quanto detto precedentemente.
  • Soddisfare le eventuali richieste del cliente, cercando di farle rientrare nei punti sopra indicati.

Un fotografo di food che riesca ad attenersi a queste indicazioni avrà sicuramente portato a termine la propria “missione” con successo e avrà sicuramente reso un buon servizio non solo al cliente ma anche agli utenti che vedranno le foto nel web o sulla carta stampata.

Vediamo ora nel dettaglio gli argomenti appena accennati.

Evidenziare ed esaltare il cibo servito nel piatto

Il piatto che viene presentato per lo scatto dal cuoco al fotografo può essere composto in modo del tutto semplice o in maniera particolarmente elaborata. In entrambi i casi – e soprattutto quando la presentazione del piatto non è particolarmente fantasiosa – il fotografo deve limitarsi a fotografare il piatto come gli viene consegnato dalla cucina, senza richiedere una particolare elaborazione dei vari elementi che lo compongono. Naturalmente potrà disporre le varie parti in maniera leggermente diversa se questo può migliorare la composizione e soprattutto focalizzare l’attenzione sull’elemento o sul punto più importante del piatto.

Rendere il cibo il più possibile invitante e appetitoso

Questa è una regola assoluta, che vale per qualsiasi piatto e qualsiasi stile di locale. Il fine ultimo di un qualsiasi locale che serve cibo è quello di trovare clienti disposti a mangiare quello che esce dalla propria cucina. Ogni piatto fotografato deve suscitare la voglia di mangiarlo in chi osserva la foto. Deve trasmettere il proprio gusto, quasi farne percepire il profumo. Questo effetto lo si ottiene con diversi elementi: una buona inquadratura, un corretto uso delle luci, un’ottima qualità fotografica, un giusto controllo del colore in fase di sviluppo delle foto, una composizione dello scatto che in certi casi includa anche altri elementi della tavola o della cucina. In particolar modo è importante il controllo del colore e la rimozione delle dominanti di colore, che sarebbero subito visibili sul colore bianco del piatto anche all’occhio meno esperto.

Replicare nella foto l’atmosfera del locale

Il fotografo di food non deve necessariamente fotografare i piatti sui tavoli del locale, ma potrà utilizzare sfondi di vario tipo di sua proprietà, quali piani in legno, metallo, plastica, tessuto, o un mix di tutto ciò. Un fotografo specializzato in fotografia di alimenti non potrà non avere una dotazione di sfondi precedentemente preparati, in stili diversi tra loro, in modo da utilizzarli a seconda dello stile del locale per il quale sta facendo il servizio fotografico. Per questo motivo un servizio fotografico per un sushi bar non potrà avere la stessa ambientazione di una trattoria tipica toscana, così come le creazioni di una paninoteca non potranno essere fotografate come si fotograferebbero i piatti di un ristorante di nouvelle cuisine.

Non aumentare (o diminuire) il valore economico percepito del piatto

Durante un servizio fotografico di alimenti si dovrebbe evitare di farsi prendere troppo la mano. Il fotografo di alimenti dovrebbe evitare di “farsi prendere troppo la mano” dalla propria tecnica e creatività, realizzando foto che trasmettano un valore economico del piatto più alto del reale. Questo creerebbe false aspettative negli utenti web, che potrebbero restare delusi una volta a tavola col piatto davanti, col suo aspetto normale, lo stesso piatto che avevano visto bello e scintillante nel sito del locale. In molti casi questo può portare a recensioni negative su TripAdvisor o altri portali simili. Allo stesso modo può avvenire il contrario: presentare foto non all’altezza del reale livello del piatto fotografato, magari perché il ristoratore ha scelto un fotografo di un livello inferiore a quello del suo locale. Quindi la regola per il cliente dovrebbe essere: non scegliere mai un fotografo di livello più basso di quello del tuo locale.

Utilizzare i normali piatti di portata

Ancora una volta, il fotografo non deve creare discontinuità tra il piatto fotografato e quello realmente servito in tavola tutti i giorni. Dovrà quindi fotografare il cibo nello stesso piatto che viene normalmente utilizzato, anche se in cucina ne ha visto uno più intrigante, magari di forma quadrata invece che rotonda, o con i bordi rialzati, o di colore diverso “…perché si abbina meglio col colore del cibo”. Se il ristoratore dice che a cose normali serve i tortellini nella tradizionale scodella, “…ma a Natale e a Pasqua li serviamo nel piatto a cappello, perché è più moderno e più bello…”, il fotografo non dovrà farsi condizionare e dovrà cercare di convincere il cliente a fotografare i suoi tortellini nel piatto che usa normalmente.

Dar fondo al proprio bagaglio tecnico e creativo

Salvo i casi in cui il servizio fotografico è a basso budget, il fotografo di food dovrebbe sfruttare ogni nuovo servizio per ottenere qualche nuovo buono scatto per il proprio portfolio fotografico. Per questo motivo un’ora in più spesa per realizzare il servizio può fare la differenza tra una serie di scatti fotografici di routine e un servizio fotografico di buon livello, che oltre a procurarci qualche nuova foto per il nostro book personale sarà messa in mostra nel sito web del cliente e nel suo materiale cartaceo e continuerà a parlare di noi.

Esaudire le eventuali richieste del cliente

Talvolta il cliente presenta richieste particolari, che possono andare dalla banalità (che peggiorerà la foto) all’impossibilità di realizzarla. In questo caso il fotografo coscienzioso che guarda oltre il breve termine farà in modo di esaudire quanto più possibile queste richieste, magari facendo qua e là un doppio scatto (come lo vuole il cliente e come lo pensa lui) da presentarglielo come provino, in modo da farlo scegliere e sviluppare lo scatto che il cliente preferisce. A meno che tu non sia un fotografo di altissimo nome, non c’è niente di peggio che un cliente che dirà di te ai suoi colleghi ristoratori o albergatori: “Sì, un buon fotografo, ma le foto me le ha fatte come ha voluto lui e non come gli avevo chiesto io.”

L’illuminazione nella fotografia di alimenti

Senza scendere in una trattazione tecnica dell’argomento, è importante secondo me valutare le tre principali soluzioni che il fotografo di alimenti può adottare quando realizza un servizio fotografico. Diamo per scontato che le foto vengano scattate nel locale del cliente, e non nello studio del fotografo. Vi sono varie eccezioni (due ad esempio sono la pasticceria e la cioccolateria) ma in genere un piatto è molto difficile da trasportare nello studio fotografico, per ovvi motivi:

Un piatto fotografato caldo o appena composto si presenterà al meglio della sua freschezza, senza che forma, colori e aspetto generico siano alterati.
Molti piatti sono praticamente intrasportabili. Pensiamo ad esempio a un piatto di tortellini in brodo…

Il ristorante o l’hotel del cliente non sono studi fotografici. Già sarebbe un ottimo punto di partenza riuscire a trovare un angolo sufficientemente ampio e tranquillo dove allestire il set e realizzare gli scatti.

Ma torniamo alle tre situazioni di illuminazioni che – almeno sulla carta sono a disposizione del fotografo:

  1. Fotografia con luce naturale
  2. Fotografia con luce artificiale
  3. Fotografia con un mix di luce artificiale e naturale

Tutte e tre le soluzioni presentano vantaggi e svantaggi.

Luce naturale

La fotografia con luce naturale – che si presume entri nel locale attraverso una finestra o una vetrata – ha il vantaggio di essere naturale e quindi non creare dominanti colori particolari, a meno che il fotografo non scatti nelle seconda parte del pomeriggio, quando la luce solare inizia a tingersi di rosso. Presenta però lo svantaggio di non essere costante né come intensità, variabile con le ore del giorno o col passaggio di nuvole, né come temperatura colore, coll’avvicinarsi alla sera. Oltre a ciò se il cielo è limpido e la luce batte direttamente sul piatto, può essere troppo forte e creare forti contrasti. In questo caso il fotografo dovrà opportunamente schermarla con una superficie semitrasparente, e spesso anche una semplice tenda o un lenzuolo sono sufficienti, se non si ha a disposizione uno speciale pannello tipo Lastolite per ammorbidire la luce diretta.

Lavorare con la sola luce solare rappresenta un grosso vantaggio per il fotografo: non dovrà portarsi dietro gli illuminatori, che spesso sono ingombranti e fragili, e richiedono attenzione durante gli spostamenti. Si vedono moltissime ottime foto realizzate con la sola luce naturale che entra dalla finestra, nelle quali il fotografo competente ha saputo utilizzare uno o più semplici cartoncini bianchi per riflettere la luce naturale sul lato non direttamente illuminato del piatto. Anche qui però siamo più a livello di scatti realizzati in casa propria da food blogger o da fotografi che lavorano sul proprio portfolio che nelle normali condizioni di ripresa in un locale.

Luce artificiale

E’ la soluzione più comune anche se la più impegnativa. Il fotografo dovrà portare nel locale i propri illuminatori, almeno due o possibilmente tre:

  1. Una luce principale puntata sul piatto
  2. Una luce di schiarita, per ammorbidire le ombre sul lato non illuminato dalla luce principale
  3. Una luce di sfondo, laddove lo sfondo debba essere illuminato interamente o in parte, creando effetti di luce particolari.

L’utilizzo della luce flash sarebbe l’ideale, ma un set di tre illuminatori flash è molto costoso e per essere ammortizzato a dovere il servizio dovrà avere un budget adeguato. Inoltre i flash da studio sono più delicati da trasportare dei normali illuminatori a luce continua, e la loro giusta collocazione è appunto nello studio del fotografo.

Molti fotografi oggi fanno degli ottimi lavori anche con un set di tre normali flash portatili, di potenza sufficiente per illuminare correttamente un set in locali esterni al proprio studio. Devono comunque essere posizionati su cavalletti, e non avendo la luce pilota che permettono una pre-inquadratura, limitano l’uso a fotografi particolarmente esperti, oppure a schemi di illuminazione quasi sempre uguali. anch’essi però – se di buona qualità – hanno costi superiori alle normali lampade a luce continua.

C’è un caso in cui la luce flash è quasi d’obbligo: la fotografia di gelati, granite, semifreddi o drink ghiacciati. La luce continua produce un forte calore sul set di ripresa. Pensiamo a una o più lampade da 1000W disposte intorno a una coppa di gelato mentre il fotografo prepara l’inquadratura. Il gelato inizierà subito a sciogliersi, e quindi o si ricorre alla luce flash oppure l’unica alternativa è la luce naturale. A meno che il fotografo non sia particolarmente veloce nello scatto, magari predisponendo l’inquadratura con un gelato “fake” o con una coppa vuota, per poi sostituirla con quella da fotografare, e scattare molto rapidamente.

Mix di luce naturale e artificiale

Un fotografo accorto potrebbe utilizzare la luce naturale proveniente dall’esterno, debitamente schermata per ammorbidirla come accennato prima e una o due luci di appoggio per “modellare” la luce che cade sul piatto e avere così un maggiore controllo sulla resa.

Questa tecnica però può portare a mescolanze di diverse temperature colore se la luce artificiale non è continua ma flash. La luce esterna potrebbe avere un “colore” naturale di 5500 gradi Kelvin, o più probabilmente qualcosa meno a seconda delle ore del giorno e della stagione. La luce artificiale continua potrebbe avere una temperatura diciamo di 3000 gradi Kelvin, ed essere molto più giallo / arancio. Questo creerebbe zone illuminate con luce neutra e zone schiarite con luce più calda. Anche se questo può essere corretto in postproduzione, entro certi limiti, aumenterà sicuramente il carico di lavoro a casa.

Usare luce flash come schiarita invece non porterebbe nessuna conseguenza o quasi, dato che la luce flash ha una temperatura colore molto vicina ai 5500K, esattamente come la luce solare a mezzogiorno in estate. Anzi, in certi casi potrebbe risultare più chiara della luce solare stessa.

Riprese ravvicinate: sì o no?

Una ripresa ravvicinata del cibo aiuta sicuramente a renderne fotograficamente la struttura e la freschezza, ma spesso non è la giusta scelta, perché in certi casi il piatto dovrebbe essere anche visibile nel suo insieme, nella sua composizione, con le sue stoviglie e la sua posateria, se non con l’intera mise en place. Per realizzare una ripresa ravvicinata occorre avere un controllo adeguato su:

  • Inquadratura del piatto e sua composizione
  • Disposizione delle fonti di illuminazione
  • Contrasto della luminosità
  • Qualità delle ottiche impiegate
  • Dominanti colore

In certi casi, budget permettendo, si possono realizzare doppi scatti: uno con inquadratura più larga e una in dettaglio.

Salvo casi particolari sono contrario ai soli scatti di fotografie di food di dettaglio. Un fotografo di food che si rispetti dovrebbe avere il controllo dell’inquadratura nel grande e nel piccolo. Spesso si scattano dettagli dei piatti perché non si dispone di spazio sufficiente per una buona ripresa. Un fotografo di food dovrebbe disporre di sfondi propri di una certa dimensione, minimo di un metro di larghezza, altrimenti l’inquadratura potrebbe andare facilmente fuori sfondo fotografando l’intero piatto. E’ tipico il caso di molti food blogger o appassionati di ricette di cucina che pubblicano sui propri blog soltanto inquadrature in dettaglio dei propri piatti, in quando spesso scattano in piccoli appartamenti di città in un piccolo spazio di 50 cm ricavato accanto ai fornelli o sul tavolinetto del soggiorno. Tutto ciò è ampiamente giustificato in un blog, ma non lo è nel sito di un locale che desideri proiettare una buona immagine dei propri piatti.

La messa a fuoco nelle fotografie di food

E’ meglio una foto di un piatto completamente a fuoco o con a fuoco solo un dettaglio e il resto sfuocato? Potremmo riempire pagine e pagine con opinioni e motivazioni diversissime tra loro, magari tutte condivisibili se legate alle circostanze di scatto e alla richiesta del cliente.

Iniziamo cercando di valutare cosa determina la profondità di campo, cioè la messa a fuoco più o meno estesa dal punto della foto più vicino all’obiettivo fino ad arrivare allo sfondo:

  1. La lunghezza focale dell’obiettivo
  2. La distanza dall’obiettivo al piatto
  3. Il diaframma impostato sull’obiettivo

Lunghezza focale

Nella fotografia di food possono essere impiegati obiettivi a lunghezza focale molto varia: dal 35mm / 50mm (se il piatto deve essere ripreso nell’ambientazione della tavola o di parte della sala) al 200mm (se si scattano foto di dettagli del piatto od oggetti piccoli come ad esempio un singolo cioccolatino). Nelle normali condizioni di ripresa si useranno obiettivi di lunghezza focale intorno agli 80mm / 100mm. Tra gli obiettivi a lunghezza focale fissa Nikon e Canon hanno a listino obiettivi da 50mm, 60mm, 100mm, 105mm e 180mm, per soddisfare qualunque esigenza professionale.

La lunghezza focale condiziona anche l’eventuale deformazione prospettica dell’inquadratura: se mi avvicino troppo con un obiettivo di 50mm o 60mm corro il rischio di rendere più grande il primo piano della foto rispetto al secondo piano e allo sfondo. Inoltre, rischio di inquadrare troppo sfondo, e se non ho una copertura sufficiente lo sfondo che ho predisposto non coprirà tutto il fotogramma. Invece un obiettivo da 100mm e oltre appiattirà le differenze tra primo piano, secondo piano e sfondo, oltre a inquadrare una porzione di sfondo più ridotta.

Con l’obiettivo da 100mm e oltre sarà necessario compensare la naturale profondità di campo ridotta che queste lenti producono con una chiusura quasi al massimo del diaframma, se si vuole avere tutto (o quasi) a fuoco.

Distanza dell’obiettivo al soggetto

Più il soggetto è vicino all’obiettivo, minore sarà la profondità di campo. Come dicevo prima, se mi avvicino troppo per riprendere un particolare, rischio di deformare l’immagine, e allora dovrò usare un obiettivo più lungo, che a suo modo ridurrà la profondità di campo e quindi la foto risulterà a fuoco solo in un punto, e quello che si trova più vicino e più lontano all’obiettivo rispetto a quel punto risulterà gradualmente sempre più sfocato.

Diaframma impostato

Al di là di tutto quello che hai letto qui sopra, indipendentemente da distanza e lunghezza focale dell’obiettivo il fotografo può decidere se avere a fuoco tutto il piatto (o quasi) oppure solo una parte di esso. Questo può farlo agendo sul diaframma dell’obiettivo. Impostando un diaframma tutto aperto otterrà una profondità di campo molto ridotta, e quindi avrà il fuoco solo sul dettaglio che ha scelto. Impostandone uno tutto chiuso estenderà la messa a fuoco all’intero soggetto (o quasi).

Chiaramente qualunque fotografo professionista sa bene che la resa ottica di una lente non è mai al massimo a tutta apertura o a tutta chiusura. Per questo è sufficiente fermarsi uno o due diaframmi prima dell’apertura massima o minima per ottenere l’effetto voluto e una buona qualità di ripresa. Quando scatto a tutta chiusura per estendere la profondità di campo, se l’obiettivo arriva a F22 io in genere mi fermo a F16.

Ma allora è meglio un piatto tutto a fuoco o parzialmente sfuocato?

Dal punto di vista tecnico è molto più semplice realizzare una messa a fuoco selettiva che totale, con l’inquadratura completamente a fuoco dal punto più vicino all’obiettivo fino allo sfondo.

Però quando mostri i provini al cliente, una foto perfettamente a fuoco sarà per lui la normalità, mentre una a fuoco selettivo lo farà saltare dalla sedia per l’entusiasmo. Questo per due motivi:

  1. La messa a fuoco completa è quanto vediamo normalmente coi nostri occhi. Se guardiamo un piatto lo vediamo completamente a fuoco, e rivedere la stessa cosa in foto non sarà una novità.
  2. La messa a fuoco selettiva viene molto usata nei libri di cucina e di gastronomia, specialmente in quelli di alto livello, e per questo viene più apprezzata, dato che è una novità alla normale foto di tutti i giorni.

Secondo me un servizio completo di foto completamente a fuoco può sembrare “normale”, ma uno di foto tutte con messa a fuoco selettiva può essere pesante e meno “documentaristico”.

Se una regola può esserci, secondo me è questa:

  • Le foto di food completamente a fuoco possono essere considerate delle “foto di prodotto” vere e proprie.
  • Le foto di food con messa a fuoco selettiva sono sicuramente “foto di immagine”.

Le foto di prodotto possono andare bene a qualsiasi livello, ma sicuramente sono più adatte per locali di livello basso e medio. Una foto ben dettagliata mostra esattamente quello che ti verrà servito in tavola, con molta sincerità e senza tanti orpelli.

Le foto di immagine sono certamente più indicate per locali di livello medio-alto e alto. Devono suscitare emozioni e per questo non serve che ogni dettaglio parli con una propria voce. E’ l’insieme che conta, e l’atmosfera che la foto evoca.