“Se vuoi imparare a fotografare l’importante è scattare molte foto. Non importa se usi una macchina fotografica o della pellicola economica. Il corredo fotografico lo migliorerai col tempo. Per il momento scatta, riconosci i tuoi errori e cerca di migliorarli.”
Alberto Goiorani è stato il mio Maestro di fotografia. Questo fu più o meno quanto mi disse una delle prime volte che il mercoledì sera ci ritrovavamo al Fotoclub di Montecatini Terme, a inizio anni Novanta. Anche se in tutto quello che ho fatto in fotografia ho sempre cercato di anticipare i tempi, su questo gli ho dato ragione fin dall’inizio, e sono contento di averlo fatto.
Alberto era un eccellente fotografo, e come tutti i grandi della fotografia non fotografava tutto, ma aveva deciso cosa gli piaceva, e lì si buttava anima e corpo.
Era un fotografo di paesaggio di altissimo livello. Sono sicuro di non esagerare dicendo che se fosse vissuto nei luoghi di Ansel Adams – e nei suoi anni – avrebbe avuto buone possibilità di arrivare al suo livello. Lui si “accontentava” del Padule di Fucecchio, delle Alpi Apuane, del Casentino, delle Crete Senesi e della Bassa Toscana. Conosceva luoghi e sentieri come le proprie tasche, e anche se frequentava spesso quei posti non si vergognava a dire che spesso faceva delle uscite a vuoto, cioè senza riportare scatti interessanti… almeno secondo il suo strettissimo metro di giudizio.
Era anche un fotografo naturalista (nonché appassionato e conoscitore di entomologia e botanica) e questo lo portava a fotografare insetti (coleotteri in particolare) con la tecnica della macrofotografia, e fiori e piante in misura minore.
Era uno dei pochissimi fotografi che ho conosciuto che riusciva a padroneggiare allo stesso livello il bianconero e il colore, e nella fotografia a colori aveva il pieno controllo delle stampe da negativo, delle stampe da diapositiva (Cibachrome) e delle diapositive da proiettare.
Nonostante nel bianconero non avesse mai adottato il sistema zonale di Ansel Adams, né se ne fosse mai particolarmente interessato, le sue stampe bianconero erano il massimo che si potessero vedere ai Fotoclub di Montecatini e Pistoia, che io ho frequentato per alcuni anni nella prima metà degli anni Novanta. Naturalmente stampava in proprio il suo bianconero, e riusciva in ogni stampa a “tirar fuori i neri più pieni e i bianchi più pastosi”, mantenendo tuttavia il dettaglio negli uni e negli altri. Sapeva stampare soggetti contrastati come soggetti a gamma tonale morbida. E per soggetti intendo paesaggi, dato che non era un ritrattista, un reportagista o un fotografo di sport.
Quando presentava stampe a colori, sia da pellicola negativa che da diapositiva ti aspettavi sempre di trovare delle grandi e rosse distese di papaveri. I campi di papaveri lo hanno sempre affascinato, e li fotografava in modo tale da rendere al massimo le tonalità di rosso, senza forzare la mano e scadere nell’artefazione. I papaveri li fotografava di preferenza col Kodachrome 25 e successivamente con la Fuji Velvia (“Il rosso Fuji…” diceva).
La sua professionalità si batteva alla pari con la sua buona disponibilità a insegnare quello che sapeva a chiunque volesse migliorare il proprio modo di fotografare, ed è grazie ai suoi insegnamenti e incoraggiamenti che ho iniziato a dedicarmi alla fotografia in bianconero e a stamparla da solo, in quello che nemmeno un anno prima di conoscerlo mi sarebbe sembrato un traguardo impossibile da raggiungere.
Alberto Goiorani scattava in formato 35 mm e in medio formato. Era un amatore dei marchi Nikon e Hasselblad e di entrambi possedeva un intero corredo. Aveva anche una Yashica biottica (6×6) in stile Rolleiflex e una Pentacon Six (6×7) con le quali ha scattato molto. A tale proposito ci diceva che quando lavoravi col medio formato non era indispensabile avere tra le mani una Hasselblad, perché potevi ottenere ottimi risultati anche con la Yashica o la Pentacon Six, a un costo di attrezzatura 5/10 volte inferiore.
L’unica colpa di Alberto Goiorani è stata – suo malgrado – quella di abbandonare prematuramente la fotografia, i suoi amici e i suoi cari.
Dio solo sa cosa avrebbe potuto fare se avesse vissuto abbastanza per conoscere gli immensi spazi che ha aperto la fotografia digitale…
Grazie Alberto.
La foto sopra è sua, e si intitola “Orizzonti”.
L ho conosciuto nel 1976, andavamo sempre a fare fotografie insieme, ero sempre a casa sua, ci si trovava anche al cineclub il lunedi sera insieme a tanti altri appassionati fotografi. Purtroppo ci ha lasciati troppo presto.
Grazie Massimo per il tuo commento. Mi unisco a te nel ricordo di Alberto.